<<Più ti inoltri nel deserto, più ti avvicini a dio>>. E’ un antico proverbio arabo.
Continuando il mio giro dei castelli del deserto, decido di visitare Qasr Burqa. Se provate a cercarlo su google map per nome non lo troverete.
Si trova nel Badia, il deserto orientale della Giordania, patria dei beduini. Con la mia piccola Hyundai, cartina alla mano, arrivo a Safawi, da cui raggiungo Ar Ruwayshid, un polveroso paesino sulla statale 10. Sono a soli 80 km dal confine con l’Arabia Saudita. E i pochi suv bianchi che incrocio lo confermano.
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Per raggiungere Qasr Burqa non c’è strada asfaltata, per cui, su indicazioni di un ragazzino, lascio la carreggiata e mi dirigo a nord.
Sono nel deserto, da solo.
La temperatura è buona, credo intorno ai 20 / 25 gradi ed è novembre. Lo scenario è impressionante, quasi irreale, una distesa di polvere e pietroline, dove l’unico limite sembra l’orizzonte.
È pomeriggio inoltrato e l’asfalto è alle mie spalle da ormai una decina di chilometri, ma ci sono i segni di tanti battistrada di automezzi che hanno creato delle vere e proprie corsie: alcune parallele, altre si incrociano qua e là.
Evidentemente non è un posto proprio poco frequentato dagli uomini.
Si guida alla grande, senza ostacoli, senza segnali, senza rotonde… tanto che mi faccio prendere un pò la mano e ogni tanto prendo qualche “colpetto” sotto la macchina, ma niente di grave, la coppa dell’olio è salva. Il ragazzino, a cui avevo chiesto quanto fosse distante il castello (<<chilo Qasr Burqa? Chilo?>>), mi aveva fatto segno con le mani, un 1 ed un 3. Ma ho già guidato per 25 km e del castello nemmeno l’ombra. Il sole va a nascondersi.
Decido allora di fermarmi e di visitare il castello il giorno dopo. Avevo già programmato di dormire in auto, era uno dei miei desideri dall’inizio di questo viaggio, stare una notte, da solo, nel deserto. Una volta spenta l’auto, il silenzio è assoluto. Nessun animale, nessun vociare. Nemmeno il vento, che si alza a tratti, sibila.
La sensazione è indescrivibile. È quello che stavo cercando. Io, solo.
La sera prima ho fatto acquisti in previsione della giornata: tè, zucchero, insaccati, pane e… carne, carbone ed una griglia.
Dopo aver sistemato il mio bel mucchietto di pietre per il fuoco, posizionato davanti ai fari dell’auto, inizio ad accendere fogli ed erba secca e poi a soffiare sul carbone.
È ormai buio. Ed il fuoco non ne vuol sapere di accendersi. Dopo più di mezz’ora di tentativi, mi rendo conto che l’erba, nel deserto, non è veramente secca; ha un colore giallognolo, ma non è secca, per cui brucia a fatica. E, peggio ancora, che il carbone giordano ha bisogno di tanto, tanto tempo per arrossire.
Rinuncio alle mie belle bistecche alla griglia, lascio la tazza (di alluminio) con l’acqua per il tè e mi infilo in auto, dove mangio voracemente pane e insaccati, di manzo e tacchino ovviamente, e hummus in scatola.
Ma all’improvviso, davanti all’auto, vedo un nugolo di scintille che svolazzano. Il fuoco si è acceso finalmente! Salto fuori e metto subito la carne ad arrostire, mentre l’acqua è già bollente. Stasera doppia, soddisfacente, succulenta cena. Me la sono proprio meritata.
La temperatura cala parecchio, credo intorno ai 10 gradi. Così mi preparo per la notte: stendo il sedile, metto un maglioncino e mi infilo nel sacco a pelo, dopo aver sorseggiato del whisky siriano. Avete letto bene, siriano: è buono e anche economico. Buonanotte!